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Per aumentare l’imprenditorialità partiamo dal senso del lavoro

L’Italia è tra i primi paesi in Europa per numero di imprese in rapporto alla popolazione, segno di una storica vocazione imprenditoriale. Negli anni Settanta, studi economici e sociologici identificarono nel legame tra imprenditoria e territorio un motore di crescita, come evidenziato dai distretti industriali, spesso specializzati in una stessa filiera. Tuttavia, oggi la propensione a creare nuova impresa è tra le più basse d’Europa, pur mantenendo una solida base imprenditoriale.

La natalità imprenditoriale è in forte calo: le nuove iscrizioni d’impresa sono diminuite di circa il 25% rispetto al 2010, con un crollo del 35% nel manifatturiero. Nonostante quasi metà dei giovani italiani preferisca un’occupazione autonoma rispetto a quella dipendente, solo una minoranza trasforma il desiderio in realtà. L’Italia resta sotto la media Ue e molto distante da Paesi come la Francia.

Le difficoltà sono riconducibili non solo a barriere burocratiche o di costo, ma anche a una scarsa valorizzazione del lavoro. Storicamente, l’imprenditore italiano non era un “eroe dell’innovazione” ma un lavoratore che si metteva in proprio. Nel 2013 il premio Nobel per l’Economia Edmund Phelps ha ribadito nel suo saggio "Mass Flourishing: come l’innovazione dal basso ha creato posti di lavoro, sfide e cambiamento” che l'innovazione diffusa nasce dalla motivazione e dalla creatività nel lavoro, indicando che è lì che va coltivata la futura imprenditorialità.

La sua tesi è che una società moderna e uno sviluppo “fiorente” richiedono una forma di innovazione indigena basata sul ruolo, la motivazione e la creatività del lavoro. A suo avviso è in questa capacità di (ri)generazione del lavoro, del suo senso e della sua soddisfazione, che va individuato un processo innovativo diffuso, che poi favorisce l’intraprenditorialità. Del resto nei paesi dell’OCSE non ci sono stati mai tanti lavoratori dipendenti come in questi anni.

Ecco, ancora oggi il punto. Per rilanciare lo sviluppo imprenditoriale occorre investire nella qualità e nella crescita del capitale umano. Le politiche di impresa devono integrare formazione, motivazione e riconoscimento del merito, perché il potenziamento delle risorse interne non solo migliora la produttività, ma genera anche un bacino di nuovi imprenditori. È così che si rafforza la capacità innovativa indigena e si sostiene la mobilità sociale.

Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, riflette sull'importanza di valorizzare ruolo e creatività del lavoro nell’impresa già esistente nell’articolo pubblicato su HuffPost: “Per aumentare l’imprenditorialità partiamo dal senso del lavoro

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