«Nei paesi economicamente più evoluti i piccoli borghesi sono gli amministratori universali; condizionano le scelte di fondo – fin quasi ad esercitare in molti casi una specie di potere di veto –, ma non sono loro a prenderle». Con questa citazione di Paolo Sylos Labini si apre la riflessione di Gaetano Fausto Esposito, pubblicata su Huffington Post nell’articolo “Piccola borghesia e cultura liberale: il filo che si assottiglia”, dedicato al destino della middle class e al suo rapporto con la cultura liberale.
Esposito ricorda come già negli anni Settanta Sylos Labini avesse colto «l’eterogeneità di una categoria composta da segmenti diversi», capace di fare da collante sociale ma al tempo stesso costretta a legittimarsi continuamente in un contesto di rapida stratificazione.
Il cuore del problema, osserva l’autore, sta nella frattura tra mobilità sociale e aspettative: «Nella parte centrale della middle class occidentale — in gran parte piccola borghesia — la crescita più modesta dei redditi si è accompagnata a un peggioramento dello status percepito». Una dinamica che ha minato la fiducia nei valori tipici della cultura liberale, dalla centralità del progresso tecnologico all’apertura internazionale.
«La piccola borghesia è eterogenea e ambivalente», sottolinea Esposito, evidenziando come le ricette politiche tradizionali risultino oggi inadeguate. In Italia, a conferma del trend, «l’autopercezione dell’appartenenza al ceto medio è in continuo calo: dal 60% degli italiani nel 2006 al 45% oggi», con un arretramento che colpisce soprattutto professionisti e autonomi, storicamente pilastri della borghesia produttiva.
La conclusione è netta: per la cultura liberale si apre una sfida inedita. Occorre «interpretare un processo di rimescolamento di valori e condizioni» senza rifugiarsi in contrapposizioni ideologiche, ma piuttosto adottando «un pragmatismo indotto da una realistica consapevolezza dello scenario in cui viviamo».
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