Il rapporto di Mario Draghi sul "Futuro della competitività europea" ha sollevato un’accesa discussione sulla capacità dell’industria europea di stare al passo con il ritmo dei cambiamenti rispetto a Stati Uniti e Cina per mantenere la propria posizione nel mercato. Ma come tradurre questa volontà in pratica per realizzare un futuro di crescita?
La risposta è attraverso un’innovazione - suggerisce il Rapporto - che sappia essere “distruttiva”, ossia capace di creare forti discontinuità rispetto al passato. E per farlo richiede dimensioni di investimento in grado di alimentare la crescita della produttività e quindi colmare le distanze cresciute negli anni.
A partire da questa indicazione si sta diffondendo l’opinione che uno dei principali aspetti della “non competitività” sia la minore dimensione aziendale, “a prescindere”. Una questione che riapre il dibattito sulla grandezza delle imprese e che potrebbe essere riassunta così: non siamo competitivi perché abbiamo poche grandi e grandissime imprese.
E se la scala dimensionale europea è insufficiente, quella italiana lo è per un grado maggiore: infatti la grandezza media delle imprese in Ue è di 14 dipendenti, in Italia non raggiunge gli 11. Tuttavia è necessario non limitarsi a considerare il solo dato dimensionale, senza dubbio rilevante, ma che non rappresenta l'unico fattore determinante per la competitività.
Infatti, oltre alla scala dimensionale, è necessario considerare la "dimensione strategica", ovvero la capacità delle imprese di creare reti di collaborazione per rafforzare la competitività. Questo è particolarmente rilevante per le PMI italiane, dove attraverso i canali delle collaborazioni e della subfornitura si possono stimolare relazioni di circuito tra grandi imprese e imprese di minori dimensioni.
Ma perché tutto questo funzioni serve la crescita del capitale umano e delle “skill” presso le imprese più piccole, per permettergli di avere quelle dotazioni di capitale intangibile necessari per cogliere e metabolizzare gli input innovativi provenienti dai committenti.
La necessità di un’agenda di politica industriale che rechi in cima lo sviluppo e l’assorbimento di competenze da parte delle imprese di piccole dimensioni è al centro della riflessione esposta dal direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, Gaetano Fausto Esposito, nell’articolo pubblicato sul blog di HuffPost dal titolo “Piccola e fragile. Favorire la dimensione strategica delle imprese per aumentare l’innovazione”.