Roma, 27 novembre 2025 – Sono 157 le città intermedie individuate nel Rapporto ricomponendo la geografia territoriale del nostro Paese – 73 nel Nord Italia, 44 nel Mezzogiorno e 40 nelle regioni del Centro –. È il primo dato tra i tanti raccolti nel secondo volume L’Italia Policentrica. Il fermento delle città intermedie, curato da Mecenate 90 in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne e presentato oggi a Roma presso la sede di Unioncamere.
Producono un valore aggiunto pro-capite più alto del 16% rispetto al resto d’Italia (34.154 contro 29.534 euro nel 2022); resistono in prospettiva meglio all’inverno demografico contenendo il calo della popolazione al 4,5% tra il 2024 e il 2050 a fronte di una contrazione prevista del 7,3% della media italiana; presentano un indice di qualità della vita superiore del 7,3% rispetto alle città metropolitane e di ben il 27% più alto delle altre città del Paese.
Sono città che ospitano imprese di eccellenza del Made in Italy e ad alto contenuto innovativo, città che esprimono dinamismo sociale, culturale ed economico e creano opportunità concrete per contrastare lo spopolamento e l’insufficiente dotazione di infrastrutture fisiche e digitali. Promuovono interventi rigenerativi per riqualificare e rivitalizzare i quartieri più degradati e sono capaci di connettere i centri urbani minori ad una rete più allargata.
Città impegnate a creare opportunità
Le città intermedie sono centri urbani demograficamente consistenti e funzionalmente rilevanti poiché centri di offerta di servizi, città ricche di risorse e di un prezioso patrimonio sociale e culturale. Luoghi che in molti casi sono diventati poli in grado di connettere centri urbani minori per integrarli in una rete più allargata. Città che si sono rivelate ecosistemi dinamici, alternativi alla congestione delle aree metropolitane. Città che esprimono un dinamismo sociale, culturale ed economico basato sulla consapevolezza che le sfide contemporanee richiedono un duplice impegno: interventi strutturali e governance partecipata. Gli esiti del Primo Rapporto, realizzato prima della pandemia, hanno restituito profili di Città determinate a fare futuro, con un ben definito progetto di città e percorsi necessari per realizzarlo, con modi e forme differenti nel delineare gli obiettivi e nell’attivare azioni condivise tra Istituzioni, imprese e cittadini. Gli esiti del Secondo Rapporto consegnano profili di Città determinate a creare opportunità per contrastare le vulnerabilità dovute al progressivo invecchiamento della popolazione, allo spopolamento, all’insufficiente dotazione di infrastrutture fisiche e digitali.
Città in fermento
“Pur facendo la tara della mia passione per i processi di autopropulsione della nostra società, – scrive il Presidente del Comitato Scientifico di Mecenate 90, Giuseppe De Rita – devo riconoscere che, atterrando ancora una volta sulla realtà (nelle dieci città di Caltagirone, Catanzaro, Chieti, Lecco, Livorno, Macerata, Novara, Padova, Salerno, Taranto) trovo certo delle fragilità antiche e nuove, ma trovo specialmente una forte tensione a crescere ed una forte “soggettualità” di sviluppo collettivo”. “Rispetto alle dinamiche di sviluppo dell’ultimo Novecento e del primo decennio di questo secolo, secondo il Presidente di Mecenate 90 Daniele Pitteri, le città intermedie tendono a disegnarsi e a definirsi per differenziazione, definendo una propria ‘dimensione immateriale’ attraverso l’esaltazione dei caratteri di unicità e di tipicità tuttavia pensando e definendo il proprio posizionamento in una dimensione internazionale che valorizza, armonizzandoli, la tensione allo sviluppo economico e la qualità della vita sociale”. “Una relazionalità più intensa tra imprenditoria e dimensione istituzionale intermedia – aggiunge Gaetano Fausto Esposito, il Direttore Generale del Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne – che trova nelle Città intermedie livelli di qualità della vita complessivamente superiori a quelli del resto del Paese e che, in tanti casi pure nel Mezzogiorno, leggiamo anche in una maggiore disponibilità di offerta di servizi di prossimità alla popolazione. Una dimensione che si esplica in particolare nei confronti degli aspetti demografici e culturali e che rende questi luoghi un ambito in cui coltivare quella “joie de vivre” che è stata uno degli elementi di successo del modello di sviluppo dei distretti industriali negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso e che oggi si riconferma e sotto molti versi si rafforza, al punto da poter considerare la dimensione urbana intermedia come un vero e proprio tessuto di connessione tra i poli metropolitani e una parte consistente di altri centri cittadini".
Città che ambiscono a riorganizzare la propria governance
Nel Rapporto si affrontano i temi chiave che qualificano le pratiche di governance messe in campo. E si ravvisa un cambiamento nella cultura politico-amministrativa, con una manifesta esigenza di integrare risorse pubbliche e private e di promuovere una cultura della condivisione e della collaborazione. Sono riportati esempi di città capaci di attivare e di valorizzare risorse locali. Tra i temi condivisi primeggia la sostenibilità ambientale e la messa a sistema del patrimonio culturale, materiale e immateriale, declinando la sua valorizzazione anche con lo sviluppo del turismo. E si sta sempre più affermando la consapevolezza che l’economia globale richieda conoscenze, competenze e innovazione alimentata dall’attività di Ricerca e Sviluppo.
Città tra fragilità sociali e forme innovative di welfare
Le dieci città prese in considerazione, si legge nel Rapporto, non sono svincolate dalle tante fragilità sociali che affliggono molte altre città del nostro Paese, quali: l’invecchiamento della popolazione e una persistente denatalità, l’emergenza abitativa, l’aumento delle persone in stato di povertà, crescenti livelli di diseguaglianze sociali, il grave disagio giovanile, la povertà educativa. In questo quadro, così come si rileva nella ricerca, le città intermedie promuovono interventi rigenerativi per riqualificare e rivitalizzare i quartieri più degradati, grazie alla presenza di un Terzo Settore pro-attivo, in grande fermento, vivace e creativo.
Il sistema di imprese tra innovazione e sostenibilità
Sul versante del tessuto produttivo, le città intermedie ospitano nel proprio territorio imprese attive nei settori produttivi definiti di eccellenza e ad alto contenuto innovativo, tra cui quelli del Design e del Made in Italy e dell’Agrifood. Anche in questo Secondo Rapporto si trova conferma della presenza di un tessuto produttivo caratterizzato da piccole e medie imprese, con una significativa capacità di innovazione e con un’importante propensione all’esportazione. In breve, il Rapporto evidenzia un dinamismo dei settori produttivi, sia pur a scala diversa a seconda della collocazione geografica delle città. Si distinguono realtà più prospere e competitive e realtà meno competitive dove, tuttavia, sono presenti imprese capaci di competere a livello internazionale.
Quale futuro per le città intermedie
“Questi sono anni di profonde trasformazioni delle città – sottolinea il coordinatore del Rapporto di ricerca Ledo Prato, Segretario generale di Mecenate 90 – l’intensità e il grado sono strettamente connessi non solo con gli investimenti del PNRR e delle altre misure adottate nell’ultimo decennio, quanto con la capacità delle Amministrazioni locali di mettere in campo progetti ispirati da una visione delle città del prossimo futuro, condivisa con i principali attori dell’economia, della cultura, del sociale. Per incidere, per lasciare un segno, sono necessarie due condizioni: una visione di futuro e la partecipazione plurale, con i cittadini al centro. Le città intermedie sembrano aver preso in mano il presente e provato a riempirlo di senso. Dove si sono accompagnate con una visione, il presente si va ponendo al servizio del futuro”.
I numeri delle città intermedie
Le città intermedie accolgono 10.690.518 residenti, il 18,1% della popolazione italiana (dati al 2024); 95 comuni capoluogo non metropolitani; 33 comuni non metropolitani con presenza o accessibilità ai servizi essenziali e un indice di offerta turistica maggiore o uguale a 4,6 posti letto ogni 100 abitanti; 29 comuni non metropolitani, con presenza o accessibilità ai servizi essenziali, Centri di un Sistema Locale del Lavoro con specializzazione produttiva prevalentemente manifatturiera. Oltre la metà (83 comuni) ha una dimensione demografica che va dai 50mila residenti e oltre. La più grande è Verona con 255.298 residenti; seguono le città di Padova (207.502 residenti), Trieste (198.843 residenti), Brescia (198.259 residenti) e Parma (198.121 residenti).
In termini di superficie la città più grande è Ravenna con un’estensione di 651,85 chilometri quadrati di territorio mentre Riccione è la città con la minore superficie territoriale pari a 17,9 chilometri quadrati. La città più densamente popolata è Monza con 3.758 abitanti per chilometro quadrato mentre Enna è la città che registra la minore densità abitativa con 71 abitanti per chilometro quadrato.
Dal 2010 a oggi la classifica dei tassi di crescita delle imprese ha sempre visto primeggiare le aree metropolitane, così come le città intermedie. Prendendo in considerazione le 12 regioni che presentano all’interno dei propri confini almeno un’area metropolitana si nota come in ben 8 (Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria, Sicilia e Sardegna) le città intermedie fanno registrare un tasso di crescita superiore alle aree metropolitane.
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