
Il 31,8% delle imprese italiane ha già fatto ricorso o prevede di rivolgersi entro il 2026 a personale proveniente da Paesi non appartenenti all’Unione Europea. È quanto emerge da un’indagine realizzata da Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne su un campione di 4.500 imprese con un numero di addetti compreso tra 5 e 499.
Il fattore determinante è la difficoltà a reperire lavoratori italiani , indicata dal 73,5% delle aziende intervistate. Anche per questo , il 68,7% delle imprese che assumono extra UE è disposto a investire nella formazione del personale straniero, contro il 54,5% di chi non si rivolge a questi lavoratori.
Le figure professionali più ricercate sono gli operai specializzati (47,1%), gli operai generici (32,6%) e i lavoratori del terziario (13,3%). Seguono artigiani (11,1%), tecnici specializzati (9,3%), professionisti altamente qualificati (4,9%) e manager (1,1%).
L’area geografica con la maggiore propensione delle imprese all’assunzione di personale extra UE è il Nord Est (36,5%), con picchi in Trentino-Alto Adige (39,1%), Veneto (37,6%) e Friuli-Venezia Giulia (36,8%). Le imprese del Mezzogiorno le meno propense, con il 28,6% delle aziende coinvolte.
Nel comparto manifatturiero, il 37,2% delle imprese ha adottato o adotterà questa strategia, rispetto al 27,4% nei servizi. In termini di struttura, la metà delle imprese che assumono lavoratori extra UE conta tra 50 e 499 addetti.
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